Incarichi dirigenziali
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Dirigenti, niente durata minima

Incarichi dirigenziali: viene meno il limite della durata minima.

La Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con la sentenza n. 27189 del 10 ottobre 2025, ha chiarito definitivamente le peculiarità ed i limiti che la norma pone agli incarichi a contratto, facendo venire meno il limite di durata minimo per gli incarichi dirigenziali.

In primis, la CdC  differenzia i rapporti di lavoro dei dirigenti pubblici da quelli tra dirigenti e datori di lavoro privati.

Nell’ambito privatistico, spicca la natura fiduciaria che giustifica il trattamento differenziato riservato ai dirigenti privati rispetto agli altri lavoratori in materia di licenziamento: il rapporto del dirigente privato può venire meno per determinazione unilaterale se, soggettivamente, sono cessate le condizioni idonee.

Invece, nella dirigenza pubblica, il rapporto di lavoro, in via ordinaria, assume la forma di contratto a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 36, co. 1, del D.Lgs. n. 165/2001, e l’accesso ai ruoli della P.A. avviene previo superamento della procedura concorsuale richiesta dall’art. 97 della Costituzione.

Solo gli incarichi “a contratto”, ex art. 19, co. 6, del D.Lgs. n. 165/2001, prevedono l’apposizione di un termine, “con durata, almeno per gli incarichi di dirigenza non generale, fino anche a cinque anni”.

Incarichi dirigenziali: le ulteriori precisazioni della Corte di Cassazione

Inoltre, alla dirigenza pubblica, anche a tempo determinato, si applicano le garanzie contro l’illegittima reiterazione dei contratti a termine, quindi, il termine massimo dei 5 anni agli incarichi a contratto non può mai essere superato con successivi rinnovi per attività ordinarie.

La successione di rinnovi di incarichi a contratto, diversamente, manterrebbe il dirigente in una posizione precaria “in contrasto con la necessità, imposta dal diritto eurounitario, che gli incarichi a tempo determinato non possano sopperire a stabili esigenze di dotazione della P.A.”.

La Cassazione censura, quindi, l’abitudine ripetuta, specie negli enti locali, di rinnovare continuamente gli incarichi a contratto: il rinnovo è ammissibile solo per un incarico successivo al primo “e di natura eccezionale o straordinaria rispetto alle normali attività dell’ente, così come nel caso di successione dopo il quinquennio, ad un primo contratto per esigenze straordinarie, di un altro contratto della medesima tipologia ma per incarico che possa definirsi diverso”.

Vige la regola che il fabbisogno ordinario di dirigenti pubblici si soddisfa necessariamente con concorsi pubblici ed assunzioni a tempo indeterminato, gli incarichi a contratto, invece, sono una fattispecie straordinaria da limitare nel tempo.

La Cassazione evidenzia, anche, che non esiste alcuna durata minima triennale. Infatti, le previsioni dell’art. 19, co. 2, del D.Lgs. n. 165/2001, che richiedono una durata minima triennale, riguardano solo i dirigenti di ruolo: “data la natura speciale della disciplina di cui all’art. 19, co. 6, cit. e la sua non compatibilità con la disciplina generale sui contratti a tempo determinato, è del tutto ragionevole che non vi siano vincoli di durata minima, dovendosi gli incarichi calibrare sulle esigenze della p.a.”.

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Fonte: Italia Oggi n. 245 del 17/10/2025 pag. 34
Autore: Luigi Oliveri

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