Le Linee Guida della Funzione Pubblica sulllo smart working ripropongono l’istituto del telelavoro nella pa , modificandone la denominazione e ridefinendone confini e presupposti.
Esse sono varate dalla Funzione Pubblica in accordo con i sindacati.
Il documento sul telelavoro nella pa approvato nei giorni scorsi parla adesso di «lavoro da remoto» e stabilisce la sua nuova organizzazione.
Per l’attivazione del telelavoro, le Linee Guida non fanno cenno, a differenza quanto disposto per il lavoro agile, alla necessità di un accordo individuale.
Quali sono i modelli di telelavoro nell pa proposti nelle linee guida?
Nel testo del documento vengono definiti due modelli per il telelavoro nella pa:
- il «telelavoro domiciliare», simile al lavoro agile emergenziale svolto nei primi mesi della pandemia. esso consiste in una prestazione lavorativa resa dal domicilio del dipendente;
- la seconda forma organizzativa è composta da «altre forme di lavoro a distanza»: il «coworking», e cioè, la prestazione si svolge non nella sede di adibizione del dipendente, ma in altra sede del medesimo ente, collocata in un territorio diverso, ma più vicino al domicilio del dipendente; oppure, il «lavoro decentrato da centri satellite», ossia, il caso in cui la p.a. accredita (tramite convenzioni) alcune sedi come idonee allo svolgimento dell’attività lavorativa dei propri dipendenti.
In entrambi i casi, il lavoro da remoto si distingue dal lavoro agile per due elementi peculiari: a differenza del lavoro agile, che presuppone necessariamente l’assenza di un luogo predefinito e di un segmento orario rigido entro i quali svolgere la prestazione, il lavoro da remoto può prevedere un vincolo di tempo corrispondente all’orario di lavoro e un preciso luogo di svolgimento della prestazione.
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Fonte: Italia Oggi n. 285 del 03/12/2021 pag. 35
Autore: Luigi Oliveri